Il lascito. La caccia del falco. Di Calvin Idol

Ueilà!

Oggi vorrei parlarvi di un esordiente, Calvin Idol, che mi ha dato l’opportunità di leggere il suo lavoro, Il Lascito – La caccia del Falco, ed entrare nel mondo fantastico di Jotnarheim dove magia e tecnologia si intrecciano insieme a una carrellata di personaggi del tutto non convenzionali.

I protagonisti e gli altrettanti punti di vista sono cinque: Doran, Kahyra, Ygg’xor (il personaggio più riuscito e affascinante, a mio avviso), Ceaser e Eryn.

Questi cinque personaggi non potrebbero essere più diversi tra loro e infatti la sensazione iniziale, come lettore, è stata di smarrimento e incredulità. Piano piano, però, la struttura inizia a delinearsi – una struttura “a incastro” non semplice e per nulla scontata in un esordiente – e la curiosità prende il sopravvento facendo girare pagina dopo pagina quasi senza accorgersene.

Altro aspetto che mi ha piacevolmente stupita è stato lo stile. Sorvolando su qualche parolaccia di troppo e su un registro talvolta troppo scurrile che però è chiaramente voluto, funzionale direi, e cucito addosso a specifici personaggi, lo stile nel complesso risulta sorprendentemente pulito e snello.

Per quanto riguarda il secondo volume, più dinamico e avvincente del primo, la penna dell’autore sembra più sicura ed esperta. Mano a mano che si prosegue è sempre più piacevole seguire le peripezie dei nostri eterogenei protagonisti.

Sia il primo sia il secondo volume sono pieni di colpi di scena che spiazzano il lettore e ne sbriciolano ogni certezza. Calvin Idol è un autore che non teme di far male ai propri protagonisti, non li considera immuni ai colpi di sfortuna e non ha paura, al bisogno, di sbarazzarsene. Questo coraggio dimostrato dal giovane autore ha costituito una piacevole novità all’interno di una trama anch’essa decisamente insolita e peculiare.

Piccolo neo riscontrato in entrambi i volumi: il finale è troppo brusco e incompleto. Certo, tutti i romanzi che si rispettano lasciano la voglia nel lettore di proseguire, ma in questo specifico caso la trama subisce un taglio troppo netto. Se siete perciò come me, lettori che non amano lasciare le cose in sospeso, allora vi consiglio di aspettare Agosto, mese in cui l’autore uscirà con il terzo volume della saga nel quale, spero, si scioglieranno i nodi più importanti.

Ecco i link di acquisto (versione digitale):

Il Lascito I: La Caccia del Falco

Il Lascito II: La Caccia del Falco Vol. 2

L’ombra dello scorpione, Stephen King

Per l’iniziativa di @readbelieve e @silvia_inunclick – #inchiostroecaffeina – oggi sorseggio un caffè alto ripensando al viaggio maestrale che ha rappresentato la lettura de “L’ombra dello scorpione” (Bompiani) di Stephen King.

L’ombra dello scorpione è un libro di più di 500 pagine – mooolte di più – che trascina il lettore nella lotta tra il bene e il male in una realtà post apocalittica in cui un’epidemia ha colpito quasi per intero il genere umano.

C’è tutto il King di cui aver bisogno.

Ma perché mai il titolo originale “The stand” è arrivato nelle edizioni italiane a essere tradotto come “L’ombra dello scorpione”? Tra tutte le leggende in cui mi sono imbattuta, la più verosimile riferisce che piuttosto di un titolo letterale – come per esempio La resistenza, che avrebbe potuto trarre il lettore in inganno facendolo forse pensare a un libro storico sulla Resistenza – gli editori abbiano preferito tentare di accattivare il lettore rifacendosi a un passaggio in cui viene descritto il diabolico (ma ahimè, anche molto affascinante) Randal Flagg:

Lui non muore mai. […] È nei lupi, cavoli, sì. I corvi. I serpenti a sonagli. L’ombra del gufo a mezzanotte e lo scorpione a mezzogiorno»).

Un libro chilometrico, come il viaggio dei protagonisti, città dopo città, alla ricerca di altri sopravvissuti con cui ricostruire una società. Un viaggio incommensurabile. Un viaggio attraverso la grandezza e la meschinità del genere umano.

Un viaggio che vi consiglio assolutamente di intraprendere prima o poi.

Link:

Blog di Readbelieve: Read is believing

Blog di SilviaInunclick: Il piacere della lettura

Link di acquisto Amazon: L’ombra dello scorpione. Ediz. integrale

The Outsider, Stephen King

Un altro colpo messo a segno dallo scrittore che conosce il male e tutte le sue innumerevoli facce meglio di chiunque altro: Stephen King.

Parliamo dunque di The Outsider, del Re del brivido, edito Sperling & Kupfer.

Ve lo devo dire, questo è un libro che mi ha fatto arrabbiare. E tanto anche. La prima metà del libro mi ha spaccato il cervello in due, totalmente incapace di decidere quale verità fosse quella giusta in cui schierarsi.

In questa prima fase del libro King non solo getta le basi della storia, non sta solo accompagnando il lettore verso l’incontro con l’ignoto… ma si sta anche divertendo come un matto a farlo impazzire. E io per questo l’ho odiato, ma anche amato di amore vero.

The Outsider vi mostra uno Stephen King che accarezza l’ignoto e corteggia il soprannaturale, ma lo fa vent’anni dopo IT (link di acquisto in italiano: It), con protagonisti adulti e intrisi di razionalità. Non più bambini capaci di vedere attraverso quel velo che separa l’innocenza dall’esperienza.

Alibi, impronte digitali, video della sorveglianza, dna… come coniugarle con la mutevolezza del male?

Nella seconda parte del libro, invece, mentre la storia raggiunge il climax, King continua ad ammiccare al lettore con riferimenti ad alcuni dei suoi romanzi passati in un vortice di easter eggs che esaltano il lettore più esperto.

King ci aveva già dimostrato di essere perfettamente in grado di coniugare, e di farlo in modo convincente, razionale e sovrannaturale in tutti i suoi libri. Ce n’è uno, però, in cui la parte razionale viene affiancata alla logica poliziesca del metodo scientifico e delle prove schiaccianti: la trilogia di Mr Mercedes (link di acquisto qui: Mr. Mercedes, Chi perde paga, Fine turno) e dopo l’incredibile successo ottenuto, King prosegue su questa strada, anzi l’affina, dimostrando di poter far irrompere la presenza sovrannaturale nella realtà quotidiana piegandola a suo piacimento nel modo più convincente possibile.

Ho iniziato a leggere e a amare King più di dieci anni fa e da allora questo scrittore non mi fa dormire sogni tranquilli. Eppure sono sempre qui, con un suo libro in mano, in attesa del prossimo oppure alla ricerca di qualche pubblicazione passata che mi è sfuggita. Con King sono cresciuta come lettrice e come persona. Leggetelo, non ve ne pentirete.

Come sempre, se volete sostenere il mio lavoro, vi lascio i link di acquisto:

Copertina rigida: The outsider

Copertina rigida e in lingua originale:The outsider

Intervista a Debora Cappa, giovane poetessa pescarese

Amici,

Debora Cappa è una giovane e prolifica autrice pescarese. Ha scritto numerose raccolte di poesie delle quali oggi desidero parlarvi e ci ha concesso un’intervista esclusiva nella quale parla di sé e della sua produzione poetica.

Lo confesso, la poesia non è tra le mie corde. Non quelle più vibranti, almeno. Ma qualcosa in questa giovane autrice mi ha spinto ad approfondire meglio il suo lavoro e perciò eccomi qui, a cercare di farvela conoscere.

Cominciamo con una poesia che mi ha particolarmente colpito e che vorrei leggeste, per entrare in contatto con la sua voce ed entrare in confidenza con la sua arte:

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E ora che avete assaporato il suo modo di scrivere vi propongo l’intervista:

1. Raccontaci di te.

Sono una giovane scrittrice e poetessa pescarese. Al momento ho all’attivo la pubblicazione di otto libri:

  • Il Carnevale della Vita
  • Amore, l’incompiuto
  • L’ Anima e il Mare
  • Il Corpo e la Terra
  • I Sentieri della Mente
  • Intime Evoluzioni
  • Sembianze dei Silenzi
  • Petali di Speranze

Altre sillogi, delle mie numerose inedite, saranno pubblicate nei prossimi mesi.

Sono ideatrice e realizzatrice del mio sito http://www.webalice.it/occhiblu_oltremare/ e blog https://deboracappa.wordpress.com/ nonché curatrice dei miei social


2. Perché hai cominciato a scrivere? E come ti sei accorta che la poesia era per te il modo migliore per farlo?

Ho cominciato a scrivere perché per me è sempre stato un bisogno ancestrale, che mi ha condotta ad esplorare le potenzialità racchiuse nell’uso della parola poetica. Esso si è manifestato fin dalla più tenera età come incanto per racconti sia reali sia fantastici. Tale naturale propensione è stata successivamente rafforzata dagli studi classici, che hanno incentivato la mia passione per la letteratura greca e latina, italiana e straniera nonché per il gusto del “bello” e dell’arte in genere.

Quando ho avvertito il bisogno di esternare sensazioni e riflessioni, sentimenti e considerazioni, ho ritenuto che la poesia fosse il modo migliore per farlo, in quanto essa è dotata di una particolare immediatezza. In pochi versi infatti può racchiudere significati profondi e variegati. Scrivere liriche inoltre, secondo me, è strumento efficace per intraprendere la consapevolezza di se stessi, quindi degli altri e di ciò che ci circonda, attraverso la conoscenza acquisita del vivere. Credo in aggiunta che possa svolgere una funzione etica, restituendo la giusta dignità alle nostre esistenze. (So che non dovrei intromettermi nelle risposte, e se Debora Cappa fosse davanti a me in questo istante probabilmente arriccerebbe il naso per l’interruzione, ma… questa frase mi ha toccato profondamente. La funzione etica della poesia come ricostituente della dignità delle nostre esistenze: Debora, ti auguro ogni bene perché il tuo modo di vedere il mondo è unico e raro).

E’ per di più talvolta pura evasione, rifugio all’incomunicabilità, che attanaglia le nostre esistenze, visto che la solitudine, a mio parere, è il male del secolo.

3. Com’e cambiato il tuo rapporto nel tempo con la scrittura?

Attraverso le prefazioni alle mie otto raccolte edite si possono seguire passo passo la questione inerente le scelte stilistiche, le ambientazioni spazio-temporali, le tematiche e le prospettive.

Scorrendo inoltre i versi pubblicati e quelli che costituiscono le numerose e nutrite raccolte al momento ancora inedite, riscontro evoluzioni costanti.

A detta dei critici il mio stile è asciutto, fluido ed incisivo, ha ritmo serrato, sincopato, verso libero e a volte molto spezzato, poi, tra parole semplici ed intense, raggiunge toni lievi, quasi sussurrati in punta di penna, privilegiando freschezza e musicalità.

4. C’è ancora spazio per il poeta e per la poesia nella società di oggi?

Non è certamente facile trovare spazio per il poeta nell’era consumistica di oggi, ciononostante, animata da un misto d’incoscienza e d’amore, persisto nel mio intento, spinta dalla voglia di comunicare, di interagire e dal bisogno di esprimere liberamente la mia essenza.

Il poeta del resto a mio avviso non può rifugiarsi in una torre eburnea, anche se la vita contemplativa sarebbe senza dubbio più facile, perché preserverebbe dal contatto crudo con le sofferenze. Essa impoverirebbe infatti al limite della freddezza, qualsiasi attività artistica, facendo spegnere lapilli in cenere. Condivido a tal proposito quanto affermava Alberto Moravia : “La poesia è come l’acqua nelle profondità della terra. Il poeta è simile ad un rabdomante, trova l’acqua anche nei luoghi più aridi e la fa zampillare”.

Ribadisco inoltre quanto già detto circa la funzione etica del genere poetico.

Ritengo anche che indagare spirituali complessità, evitando di cadere in facili sentimentalismi, possa coadiuvare nel superare le fragilità dell’anima e nel rafforzare la solidità fisica dell’umanità personale a livello globale.

Attorno alle nostre esistenze essa crea per giunta una sorta di ideale ampolla di vetro. Le sue pareti trasparenti non possono impedirci il contatto crudo con la realtà cinica e sempre più dolorosa, ma sanno difendere il cuore delle nostre essenze, donandoci, specie nei momenti critici, linfa vitale di sopravvivenza attraverso la scoperta costante della purezza e della bellezza in senso lato.

5. A chi sono rivolte le tue poesie? Chi è il lettore ideale? E/o a chi pensi mentre scrivi?

Non ho né preferenze né preclusioni circa un ipotetico lettore, che mi auguro si lasci guidare nel cammino ideale dentro e fuori se stesso.

Il poeta potrà essere ascoltato e capito, magari anche apprezzato, ma solo da chi avrà la tenacia e la voglia di non farsi limitare, nel senso più ampio del termine.

Quando scrivo dunque non penso ad una persona specifica, ma mi lascio trasportare dall’ispirazione. Tutto ciò che colpisce la mia sfera emotiva, ancor più se induce all’introspezione, diventa potenziale spunto per le mie composizioni poetiche.

L’ intento che in ogni caso mi prefiggo sempre di raggiungere è di concepire in veste universale.

6. Cosa consiglieresti a un lettore poco avvezzo alla poesia che abbia deciso di avvicinarsi alle tue opere?

Consiglierei di non lasciarsi scoraggiare dal fatto che questa forma d’arte risulta davvero impervia per il luogo comune secondo cui è considerata ostica, datata, d’èlite.

Come già accennato prima, prediligo pertanto uno stile cristallino, privo di orpelli, in modo da avvicinare il lettore concettualmente ed emotivamente, senza farlo annaspare in intrichi ridondanti di parole, magari sfoggiate, ricercate in modo ossessivo e spesso vuoto. Tramite l’essenzialità e la coerenza della forma stilistica mi avvalgo a tal proposito di simboli, allegorie, flash, barlumi, ossimori e della forza icastica di immagini nitide ed immediate.

7. In che stato si trova il genere poetico in Italia oggi? Vedi qualche autore interessante in fare di fioritura? O pensi più a una fase stagnante?  

Il genere poetico in Italia oggi non è tra i più in voga, dato che l’era attuale impone ritmi sempre più psichedelici, riducendo il tempo per pensare e rilassarsi, a meno che fin da piccoli non sia stata ricevuta un’educazione in tal senso e dunque leggere costituisca un bisogno prioritario della mente e dell’anima.

Nonostante ci sia qualche autore interessante in fase di fioritura, penso ad un momento piuttosto stagnante per una serie di altre concause.

La scarsa attenzione per il contenuto poetico va imputato alla società odierna, superficiale, frivola, distratta da mille fatui interessi, abituata al culto dell’apparenza, all’ostentazione dell’esteriorità, alla mortificazione dell’essenza in nome di una mercificazione totalizzante, che investe perfino i sentimenti e sembra favorire un livellamento culturale, un’atrofia del pensiero.

Le opere valide inoltre non sempre vengono supportate, in quanto non usufruiscono di un impianto pubblicitario adeguato, che, seppur apprezzabile, tende ad essere fagocitato da tutto il resto.

Mi fanno ben sperare tuttavia l’interesse e l’entusiasmo che ho potuto riscontrare da parte di numerosi giovani a proposito dei miei versi. I loro commenti mi hanno fatto veramente piacere e dunque ritengo che la poesia possa essere apprezzata nella giusta misura in un prossimo futuro, mi auguro non troppo lontano.

8. In tutto questo tempo dedicato alla poesia, cosa ritieni di aver imparato da essa?

Nell’arco di tempo dedicato alla poesia penso di aver imparato che lo scrivere sia un mezzo potente per affrontare la conoscenza di se stessi, quindi degli altri e di ciò che ci circonda.

Ritengo inoltre che essa possa svolgere una funzione etica in un mondo così globalizzato e stereotipato, in cui l’interiorità è quasi una zavorra.

Comprendo meglio l’opinione di Edoardo Sanguineti: “Uno sguardo vergine sulla realtà: ecco ciò che io chiamo poesia”.

Anche secondo me infatti la poesia della vita va riscoperta tramite la lente di ingrandimento della semplicità, dello stupore, della curiosità, dell’incanto.

Per concludere riporto il pensiero di Percy Shelley In difesa della poesia :

La poesia toglie il velo di bellezza celata al mondo e fa sì che oggetti a noi familiari ci appaiano sotto una luce diversa…

La poesia traduce tutte le cose in amore, esalta la bellezza di ciò che è più bello, aggiunge bellezza a ciò che manca di grazia, sposa l’esultanza e l’orrore, il dolore e il piacere, l’eternità e il mutamento, tutte cose inconciliabili che unisce sotto il suo giogo leggero….

La poesia ci fa abitanti di un mondo diverso di cui quello che comunemente conosciamo è solo un’ombra…

La poesia libera il nostro animo dal velo dell’abitudine che ci impedisce di scorgere la meraviglia del nostro essere, ci spinge a sentire ciò che percepiamo e a immaginare ciò che conosciamo”.

9. Per finire, un gioco: puoi salvare soltanto tre poesie da una biblioteca in fiamme. Cosa salvi?

Le tre poesie che salverei da una biblioteca in fiamme sono:

-”L’infinito” di Giacomo Leopardi per il suo volger all’incommensurabile

-“Prendi un sorriso” di Mahatma Gandhi per l’idea di condivisione ecumenica

-“Un bacio” di Edmond Rostand dal Cyrano de Bergerac per il delicato romanticismo.

Ringrazio l’autrice.

Buona lettura a tutti!

N.

 

Nudi e Crudi, Alan Bennett

Amici,

img_4433per la festa della donna proverò a essere anticonvenzionale e a parlarvi di qualcosa che normalmente non assocereste all’8 Marzo: Alan Bennett.

Invece che inviarvi delle fotine dominate dal colore giallo sui vari gruppi di whazzapp o sbandierare quanto dovreste omaggiare le donne che vi stanno accanto trecentosessantasei giorni l’anno (o, ancor peggio, copia-incollare da wikipedia la storia di paladine della storia che nessuno leggerà) ho pensato di parlarvi di Nudi e Crudi, una storia ironica, tutta British, pungente come solo i britannici sanno essere.

Di tutti i libri possibili e immaginabili ho scelto questo per una ragione soecifica: Rosaline. Sì, perchè dovete sapere che Nudi e Crudi racconta la storia dei coniugi Ransome – una coppia borghese incastrata nei rigidi schemi della propria vita – che si ritrova la casa completamente svaligiata. Com-ple-ta-men-te.

Niente mobili, niente tivù, niente moquette. Il roloto della carta igientica? Manco per niente.

Maurice, il convenzionalissimo marito di Rosaline, rimane paralizzato da questo evento sinistro. Non riesce ad evolversi, ad abituarsi alle novità.

La sigora Ransome, al contrario, catapultata fuori da trentanni di routine e schemi ben rodati, si affaccia – timidamente – alla vita e ne scopre, a piccoli passi, nuove e curiose sfaccettature. Osa trasgredire.

Ciò di cui si rende conto Rosaline è che grazie a questo stranissimo furto potrà riempire di nuovo la casa, ma potrebbe trasformare il procedimento anche nell’occasione per riempire le loro vite.

Rosaline sfugge alle convenzioni. Rosaline si ridisegna. Rosaline mi ha ispirata.

E dunque il mio augurio, a tutte le donne, è di capire chi siete e di fare della vostra vita quello che volete veramente.

N

Libri di Coe: La famiglia Winshaw e un fantastico gruppo di lettura

Amici,

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grazie a Samantha, curatrice del blog Leggo quando voglio, ho partecipato al gruppo di lettura LibridiCoe. Il libro che abbiamo letto insieme? La Famiglia Winshaw (What a Carve Up!), il mio primo libro di Jonathan Coe e sicuramente non l’ultimo.

Un gruppo di lettura composto da lettrici incredibilmente acute e produttive, bookblogger e semplici amanti dei libri, di cui – ora che siamo giunti al termine – sento già la mancanza.

What a Carve UP è un libro con uno stile affascinante e avvincente. E’ un’opera complessa, “a incastri” direi, che premia il lettore che non si lascia scoraggiare. Ciò che disorienta all’inizio, ma che fondamentalmente corrisponde anche alla firma dell’autore, è la struttura: apparentemente scomposta ma che poi trova la giusta posizione a ogni suo pezzo.

In questa saga famigliare seguiamo le tracce dei Winshaw – un’antica e facoltosa famiglia inglese artigliata al potere ed economicamente aggressiva e violenta – e dello scrittore incaricato di scrivere la loro storia. L’Inghilterra descritta, quella degli anni ottanta, è un’Inghilterra quasi reale: il contesto storico e politico, infatti, non è mai un semplice sfondo ma un’esposizione – peraltro poco sottile – delle sue preoccupazioni per le questioni sociali. Leggetelo, e poi ditemi che vi fa sentire la parte dedicata a Dorothy. O il trattamento riservato alla riforma sanitaria.

Il più grande punto di forza è che il tutto viene veicolato con una forza stilistica imponente. I messaggi vengono espressi in modo umoristico, attingendo spesso alla forma di satira. Quando leggerete le note del diario di Hanry vi ritroverete ad alzare gli occhi e sorridere sulle pagine che state leggendo.

E il cinismo di cui sono intrise le sue pagine? Un ingrediente che rende perfetta la ricetta di Coe e che vi terrà incollati fino alla fine.

Hilary Mantel, del Sunday Times, con cui non potrei essere più d’accordo, scrive:

A sustained feat of humor, suspence and polemic, full of twists and ironies.

 

Lo consiglio? Assolutamente sì.

Link di acquisto alla versione in lingua originale, edita da Penguin e parte della collana Penguin Essential, con una bellissima e sfavillante copertina disegnata da UNGA Broken Fingaz (che vedete in foto sopra): What a Carve Up!

Link di acquisto alla versione italiana, edita Feltrinelli e tradotta da Alberto Rollo: La famiglia Winshaw

Ci sarà un nuovo gruppo di lettura a MArzo il cui testo di Coe sarà: Donna per caso.

Non vedo l’ora! Sarete dei nostri?

 

7 peccati letterari

Ora di confessioni…

Partcepo al bellissimo booktag ideato da Katiuscia, curatrice del blog RaccontAmi, Tiziana, curatrice del blog PassionelibroblogBrucalibro e Grace_theamazing  che consiste nell’abbinare un peccato capitale a uno dei libri presenti nelle vostre librerie, o che avete semplicemente letto.

😡IRA, un libro che si è rivelato una delusione: IL CIMITERO DI PRAGA. Ancora lo guardo storto quando passo davanti al suo posto in libreria. Mi è stato antipatico fin dalle primissime righe e non lo consiglierei nemmeno alla mia peggior nemica!

💰AVARIZIA, un libro che non presterei mai e poi mai: TRE UOMINI IN BARCA. Lo custodisco come Gollum con il ssuo tessoro.

😕INVIDIA, un libro in cui vorresti aver vissuto la storia narrata: L’ISOLA DEL TESORO. Ho sempre sognato di essere il piccolo Jim e di trovare la mappa del tesoro nel baule del vecchio marinaio Billy Bones. Ah, oltre a tutte le sue avventure, ho sempre sognato, non so perché, di stringere la mano a Long John Silver.

😏SUPERBIA, il libro più bello della mia libreria, sempre L’ISOLA DEL TESORO, ma nell’edizione #penguinclothbound

😋GOLA, un libro che ho divorato: COSE PREZIOSE. Sto aspettando che passi un po’ di tempo per rileggerlo di nuovo. Leland Gaunt mi ha letteralmente affascinata e pietrificata. Combinazione rarissima da suscitare, ma forse non così rara per Stephen King.

😳ACCIDIA, un libro che resta in libreria non letto da tempo: MY DOG TULIP. rimedierò presto.

😍LUSSURIA, il libro più appassionato letto: IL VANGELO SECONDO BIF. Bello. Bello. Bello. compratelo e leggetelo tutti.

Alcuni titoli saranno anche impopolari e controtendenza, ma cercate di essere magnanimi! Dopotutto è una confessione… siate buoni!

Se volete acquistare uno dei libri di cui sopra, vi prego non Il cimitero di Praga, fatelo attraverso questi link e aiuterete il mio blog a crescere senza spendere nemmeno un doblone in più. Ah, e ricordate:

Quindici uomini sulla cassa del morto,
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum per conforto!
Il bere e Satana li ha spediti in porto,
yo-ho-ho, e una bottiglia di rum per conforto!

Il cimitero di Praga

Tre uomini in barca (per non parlare del cane)

L’isola del tesoro

Cose preziose

My Dog Tulip

Bello Bello Bello: Il vangelo secondo Biff. Amico d’infanzia di Gesù

 

Buena lettura!!

Libri per non dimenticare

“Nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scampasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche di storici, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme a voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti”

Simon Wiesenthal, Gli assassini sono fra noi

Ciascuno di noi, quindi, ha il dovere morale di ricordare. Documentarsi, leggere, capire (o cercare di farlo). Noi appassionati di libri in primis. E cercare di coinvolgere chi a leggere non è tanto abituato.

Perché? per dar torto a quella maledetta SS.

Perché? Perchè l’olocausto è un ricordo di ieri, ma dobbiamo impedire che diventi il nostro domani.

A scuola, tempi ormai lontani, le insegnanti mi fecero leggere il Diario di Anne Frank. Ricordo che leggerlo mi aprì la mente su un mondo che non avrei voluto conoscere mai.

Al liceo i libri che più mi cambiarono la percezione delle cose furono La notte di Elie Wiesel, un libro sincero, disarmante, crudele, commovente consigliatomi dalla professoressa di italiano del biennio di quei tempi ormai lontani e In quelle tenebre di Gitta Sereny consigliatomi invece dal prof. di latino del triennio, un uomo a cui tuttora penso con affetto. In quelle tenebre è una ricerca meticolosa dentro la psiche dei comandante del campo di Treblinka da parte della Sereny che lo intervistò nel carcere di Düsseldorf.

Tra le letture invece che mi sono ripromessa di coltivare in questi giorni e di portare avanti nel tempo, perché la giornata della memoria dovrebbe essere tutti i giorni, sono: L’amico ritrovato e Storia di una ladra di libri. Di entrambi preparerò due articoli ad hoc.

Sempre per smentire la nostra maledetta Ss, ogni anno, in questo periodo, vengono pubblicate nuove testimonianze e rilasciati nuovi titoli al cinema.

Una menzione particolare va al 25esimo anniversario di Schindler’s List (Edizione Limitata) (Blu-Ray) la cui potenza sembra non sbiadire mai e a un film crudo e tremendo nel suo ispirarsi alla realtà, proiettato nelle sale proprio in questi giorni: L’uomo dal cuore di ferro. Un adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Laurent Binet HHhH. Il cervello di Himmler si chiama Heydrich distribuito nei cinema dalla Videa casa di distribuzione a cui possiamo solo dire grazie per il continuo e spietato lavoro di altissima qualità.

 

Vi ricordo che sono affiliata ad Amazon, e se acquistate qualcuno dei titoli che vi ho suggerito tramite i link di questa pagina, senza spendere un centesimo in più aiuterete questo blog a crescere e migliorare.

L’avvelenatrice, quarta e ultima tappa

Siamo giunti al termine del nostro libro, L’avvelenatrice, e del nostro gruppo di lettura: Le avvelenatrici.

Prima di concludere la discussione del libro, ci tenevo a mostrarvi la patente Di avvelenatrice che le organizzatoci del GDL (curatrici dei blog: La penna nel cassetto e Un libro sul comodino) ci hanno dato a fine lettura. Un pensiero semplice e tuttavia fantastico, grazie di cuore. Mi aiuterà a ricordare con affetto di aver condiviso questa lettura con delle lettrici superbe.

Come vi avevo anticipato nella tappa precedente(vedi L’avvelenatrice, terza tappa della lettura condivisa), mi piacerebbe approfondire i metodi di “giustizia” del 1600, in pratica soffermarmi sui due esempi che il libro ci presenta: lo stivaletto applicato al complice Lachausée e la condanna della marchesa, la decapitazione, alla quale la protagonista arriverà non prima di essere stata sottoposta a tortura.

Nel primo caso, Lachaussée viene arrestato e trovato con indosso del veleno. La causa fu portata davanti al tribunale ma lui “negò con ostinazione, ed i giudici, non avendo bastati prove contro di lui, lo condannato alla tortura”.

La pratica a cui viene sottoposto è lo “stivaletto”, pratica in cui le gambe vengono legate insieme e inserite in una sorta di stivale di ferro, che il boia stringe fino allo spappolamento delle ossa.

Lo stivale era considerata dai testimoni dell’epoca la tortura piu’ violenta e crudele al mondo e il castigo proseguiva finche’ la vittima confessava. Lachaussée, in quanto complice di Santa Croce, è in possesso di informazioni come la composizione dei veleni, antidoti, ulteriori complici… il cui valore viene considerato più importante della vita dell’imputato previo maciullamento delle sue carni. Per fortuna, tempi molto lontani dai nostri.

Nel caso della marchesa, invece, se da una parte la confessione delle stesse informazioni ha un peso per il processo altrettanto importante se non maggiore, attraverso la sua tortura perviene non solo il tentativo ultimo di venire a conoscenza di complici, trame, composizioni chimiche e relativi antidoti, ma anche un nuovo elemento: quello della purificazione dell’anima attraverso la sofferenza e le pene patite.

Alla marchesa di Brinvilliers tocca la tortura dell’acqua, supplizio in cui l’accusato viene disteso supino su un cavalletto, legato, e obbligato a bere litri e litri d’acqua attraverso un imbuto.

Terminata la tortura, infatti, prima di essere portata al patibolo, con le carni lacerate e i legamenti rotti la Marchesa chiede al confessore: “i miei carnefici non mi hanno forse flagellata come Gesù Cristo?”

Per finire la Marchesa di Brinvilliers viene decapitata e il suo corp, poi, bruciato al rogo. Ma fate attenzione alle ultime righe di Dumas:

L’indomani si cercavano le ceneri della marchesa di Brinvillers, perché il popolo la credeva una santa.

Un personaggio indecifrabile, una donna che fino alla fine non si sa davvero cosa pensi e, viceversa, cosa pensare di lei.

 

L’avvelenatrice, terza tappa della lettura condivisa

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In questa tappa della lettura condivisa, la terza del merviglioso GDL “Le avvelenatrici”, trattiamo i capitoli 8 e 9 de L’avvelenatrice, la storia della perfida marchesa di Brinvilliers.

Il capitolo 8, che ahimè ho sentito pesante e noioso, riporta sotto forma di cronaca i progressi d l’interrogatorio della marchesa e successivamente una lunga digressione (suddivisa in tre sotto-digressioni) sulla validità e l’utilizzo di una confessione in tribunale.

Nel nono capitolo, invece, avviene un brusco e gradevole cambio di prospettiva. Viene introdotto il prete/dottore Pirot il quale accompagnerà la marchesa nella preparazione della sua anima alla condanna di morte e infine al patibolo. Riga dopo riga, pagina dopo pagina, si assistete a un profondo mutamento della marchesa, che si pente e cerca di ripulire la sua anima prima di giungere al cospetto divino.

Il lettore contemporaneo, in questa seconda metà del racconto, figlio dell’immancabile colpo di scena, si aspetta un trucchetto da parte della perfida marchesa, una ribellione, un colpo di scena… qualcosa tipo l’avvelenamento dei carcerieri e/o una possibile conseguente fuga. Tuttavia dubito che una simile svolta possa essere compatibile con l’inchiesta che Dumas intende raccontare, tanto meno con la realtà del 1600.

Tra le tracce proposte dal gruppo di lettura, tutte molto interessanti, quella che sento più mia riguarda i metodi di giustizia del diciassettesimo secolo. Abbiamo assistito, infatti, alla tortura di Lachaussèe nel capitoli precedenti, quella dello stivaletto, e nel prossimo ci toccherà assistere a quella della marchesa. Siete pronti? Io mica tanto.

Seguite il prossimo articolo e faremo qualche riflessione insieme sui metodi e sugli strumento di giustizia del 1600.

Buon proseguimento!